MeWe 2017: la voglia dei Giovani di Rieti di ricostruire e ricucire le distanze

In mezzo alla confusione di una serata romana qualsiasi, tra i clacson delle automobili e il via vai dei pedoni, ad un certo punto da questa massa indistinta di rumori risuona uno squillo cadenzato, ma deciso. All’inizio non si capisce bene cosa sia, da dove provenga, ma ecco che riprende di nuovo e quello che prima era un semplice ticchettio piano piano diventa un suono familiare, che riempie l’anima di gioia. E’ il suono delle campane della parrocchia del quartiere. Sono le 18 ed invita alla Messa della sera.

E’ strano come qualcosa a cui prima non avremmo neanche prestato più di tanto ascolto, ora invece ci investe in tutta la sua forza, anche in mezzo al frastuono.

Già, prima.

Prima che il terremoto si abbattesse sulla nostra quotidianità, prima che molte vite venissero spezzate, prima che si smettesse di dire che “a Rieti non succede mai nulla”. Gli eventi sismici che a partire dal 24 agosto hanno interessato, e continuano ad interessare, la nostra comunità hanno segnato un prima e un dopo, finendo per scandire la nostra stessa percezione del tempo. Oltre ai danni materiali, la cosa forse più sconcertante è constatare che viviamo, tutti, come sospesi, in balia di un eterno presente fatto di rovine tanto fisiche quanto dell’anima, dal cui orizzonte è escluso il futuro. Questo terremoto, oltre a mietere un numero elevato di vittime, ha mostrato la fragilità, non solo fisica, del nostro territorio: tanto bello, ma nello stesso tempo così delicato, regolato su equilibri molto precari. Un territorio ricco di storia e cultura che è ancora così ancorato a particolarismi ancestrali, che fatica a superare barriere ideologiche, ancor prima che naturali, insofferente di fronte ad uno sguardo che lo racchiuda nella sua interezza.

Eppure proprio il terremoto, come ci ha ricordato anche Chiara Giaccardi nell’incontro diocesano dello scorso settembre, paradossalmente può rappresentare un’occasione per ripartire, per ricucire i traumi antichi e nuovi ed iniziare finalmente a camminare assieme. È come Chiesa ferita che ci apprestiamo a vivere questo Natale e spesso, presi dallo sconforto, ci sembra di non avere via d’uscita.

Anche oggi la Parola ci invita ad aprirci alla speranza, una speranza che ci chiama a sbloccare il tempo, ad essere testimoni attenti e artefici vigili di una ricostruzione che è e deve essere possibile.

È in quest’ottica che noi giovani, espressione di tutte quante le anime della nostra diocesi, fin dai primissimi giorni siamo scesi in campo, consapevoli che non ci può essere ricostruzione senza camminare, stando immobili, fermi nelle nostre piccole comunità parrocchiali e/o associative, incapaci di mutare il nostro modo di pensare, del “si è sempre fatto così”, ciechi di fronte allo sguardo misericordioso di Cristo che oggi più che mai si fa vicino e ci spinge ad alzare lo sguardo e guardare oltre, in alto. In queste settimane di Avvento la Parola ci invita ad essere appunto vigili, che “non significa sognare ad occhi chiusi il futuro, con le braccia conserte, ma è la dimensione di chi con gli occhi aperti, oggi, ci mette del suo per fare la differenza” (Vescovo Domenico, I Lectio Avvento).

È una sfida, quella che come giovani ci assumiamo, a posare la prima pietra della ricostruzione, ed è per questo che abbiamo scelto di vivere il Meeting dei Giovani proprio ad Amatrice. Quello dello scorso anno si era chiuso con l’augurio di Papa Francesco di seguire sempre la Stella e stare accanto al Bambino: cercarlo nei più piccoli, negli esclusi, là dove apparentemente se ne sente di più la mancanza. Oggi noi siamo convinti che quest’anno il Bambino nascerà ad Amatrice, perché “dov’è il dolore, là il suolo è sacro” (Oscar Wilde).

Da Accumoli e Amatrice, uniti idealmente con tutti gli altri territori colpiti dagli eventi sismici in questi mesi, vuole ripartire la ricostruzione, che significa soprattutto (ri)costruire il nostro essere oggi giovani, nella Chiesa e nella Diocesi di Rieti. Significa fare del nostro per (ri)cucire gli antichi dissapori, abbattere definitivamente quelle barriere invisibili che per decenni ci hanno separato e gettare finalmente dei ponti, ripartendo però dalla pietra angolare: la rocciosa fedeltà di e in Cristo, che scaccia ogni dolore e paura. Ci riscopriremo allora davvero uniti, davvero fratelli e faremo quel salto di qualità che manca da sempre. Lo slogan del meeting anche quest’anno è infatti MeWe, dal me al noi, ma solo la Fede può consentire questo salto e la fede vede e costruisce nella misura in cui cammina, “si mette le scarpe ai piedi”.

Questa è solo una tappa, un sorta di posa della prima pietra, di quel lungo cammino che ci porterà a sentirci finalmente un’unica comunità, capace di camminare assieme. E’ solo una tappa certo, ma noi ci siamo, siamo pronti, e vogliamo correrla. Soltanto riconoscendo questo, uscendo fuori dai nostri particolarismi e convinzioni leggermente stantie, il nostro sguardo non sarà più rinchiuso in un angosciante presente di rovina e in un malinconico passato di grandi glorie, ma conquisterà l’orizzonte di un futuro splendente in cui anche quando il terremoto “tira”, la nostra casa non crolla, perché costruita sulla roccia. Soltanto riconoscendo questo, la nostra fede non rimarrà più sepolta sotto queste macerie e noi potremo finalmente sbloccare il tempo, riappropriarci delle nostre vite. Le campane torneranno a far rivivere Accumoli, Amatrice e tutta la nostra comunità, diocesana e non.