La Cura e l’Attesa: diario di bordo sull’arte di esserci

Diario di bordo: Lunedì, 20 Febbraio 2017

Con grande emozione, anche un po’ preoccupato, sono partito alla volta di Bologna per partecipare al XV convegno nazionale di pastorale giovanile.

Più di 700 persone in rappresentanza delle diocesi italiane, degli istituti di vita religiosa e delle aggregazioni laicali si sono dati appuntamento a Bologna per parlare e confrontarsi sulla figura dell’educatore e della comunità cristiana. Titolo e filo conduttore del convegno era “La CURA E L’ATTESA”: il buon educatore e la comunità cristiana;  moderatore dei lavori don Michele Falabretti, direttore del servizio nazionale di pastorale giovanile.

Vittorino Andreoli (famoso psichiatra), primo a prendere la parola, con il suo modo “laico” ed anticonformista ha dato dei buoni spunti di riflessione su chi è l’uomo, chi è l’educatore e cosa voglia dire “educare”. Ci ha spronati a riflettere sul fatto che la parola educare non vuol dire solo e-ducere (tirar fuori dall’altro le sue potenzialità), ma anche insegnare a vivere: perché prima di trasmettere qualsiasi cosa bisogna trasmettere cos’è la vita.

La vita – ci ha detto – è qualcosa di sacro e straordinario perché è ammantato di “mistero”; amare il mistero è l’unica condizione per amare l’uomo. Ci ha esortato quindi ad amare e trasmettere l’attesa, perché senza di essa non c’è luogo per la speranza. Infine, ci ha voluto parlare anche della fragilità, dicendoci che non vuol dire debolezza, che essa è l’opposto del potere e non bisogna nascondere di essere degli educatori fragili; anzi, ci ha invitato ad usare come modello Gesù sulla croce, dove Egli non ha avuto paura di mostrare tutta la sua umanità e fragilità.

Tra la Santa Messa in una parrocchia di Bologna e una buona cena, fu sera e fu mattina, primo giorno.

Diario di bordo: Martedì, 21 febbraio

Celebrata l’Eucarestia di buon mattino, siamo entrati subito nel cuore del convegno con due relazioni molto interessanti. La prima, dal titolo “Generare la fede, generare una vita di fede”, è stata tenuta da mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena.  La parola generare evoca una comunità; la generazione di una nuova vita è opera di un uomo e di una donna. Generare è un atto d’amore e questo si compie attraverso un passaggio doloroso per la donna e per il bambino e spesso anche per il padre, che sperimenta un senso d’impotenza, ma si risolve in una grande gioia per tutti, perché una nuova vita dà energia.

Chi insegna compie un atto d’amore, perché consegna ad altri le proprie esperienze. Chi opera sul piano spirituale lo fa per amore delle persone e deve saper dire anche i no per annunciare i di Dio. Un buon educatore allena ad amare il “sentiero”: a volte coltiviamo l’amore per la meta detestando il sentiero, ma il travaglio del cammino per la meta è molto importante. L’educatore non deve solo indicare ai giovani i passi da compiere, ma deve camminare a fianco dei ragazzi, raccontare la propria fatica. L’educatore non è un giudice che dà sentenze, ma un medico che cura, come Gesù medico delle anime e dei corpi.

Nella seconda relazione, dal titolo “Educare ed educatori”, la professoressa Chiara Scardiglio, docente di pedagogia sperimentale, ha messo a nostra disposizione le sue conoscenze accademiche, la sua esperienza di educatrice e di mamma, mettendo in evidenza che: “Per essere educatore non basta la buona volontà, un afflato generoso, del metodo. Occorre anche correlare in maniera continua lo studio e la formazione con il lavoro su se stesso. Formazione, professionalità, informazione non sono sufficienti senza un lavoro. Ciò che rende l’educatore credibile e autentico è la capacità di mettersi al cospetto della sua storia personale, anche del suo inferno, della sua esperienza, così da poter stare davanti a chi gli viene affidato. È l’esperienza che educa. Riconoscere le proprie ferite aiuta a essere credibili, dunque a non coltivare l’immagine di invincibile. È la fragilità che trasforma l’incompetenza in competenza interiore. Non è per tutti essere educatori”.

Dopo queste due importanti relazioni ci siamo diretti verso Ravenna per visitare questa bellissima città, le sue chiese e i suoi mosaici. E’ stato un bel pomeriggio culturale e di preghiera: infatti dopo il tour cittadino ci siamo diretti verso la stupenda basilica di Sant’Apollinare in Classe per una veglia di preghiera. Dopo aver nutrito la mente con le relazioni e lo spirito con la preghiera, ci siamo spostati a nutrire il corpo, accompagnati dagli sbandieratori della città verso il luogo della festa che la diocesi ravennate e il servizio nazionale per la pastorale giovanile hanno preparato per noi.

E così, dopo la musica e i balli, fu sera e fu mattina. Secondo giorno.

Diario di bordo: Mercoledì, 22 febbraio

Anche questo terzo giorno di convegno è iniziato con la celebrazione Eucaristica, però questa volta siamo stati divisi in gruppi ed indirizzati in diverse parrocchie di Bologna, gruppi che corrispondevano a quelli dei laboratori che ci hanno impegnato per tutta la mattinata. Finalmente, dopo aver dato tanto spazio all’ascolto, abbiamo avuto l’occasione di poter mettere in comune le esperienze educative personali e riflettere sul nostro modello di educatore.

Dopo il pranzo i lavori del pomeriggio sono ripresi con la presentazione della ricerca Ipsos sugli Oratori Italiani. Don Michele ha sottolineato che la presentazione dei dati avviene durante il convegno, perché il tema dell’oratorio è strettamente legato all’educazione e si pone a cavallo tra iniziazione cristiana e percorsi tipo GMG (Giornata Mondiale della Gioventù).
Possiamo definire oratorio – ha continuato don Michele – tutte quelle realtà che coinvolgono ragazzi in attività educative e che comprendono catechesi, spiritualità, sport, musica etc. L’oratorio quindi ci interessa come metodo educativo per consegnare la fede, ma soprattutto per far crescere una vita di fede. In tal senso l’oratorio è strumento privilegiato, perché – ha precisato subito Pagnoncelli – svolge un ruolo considerato unico in alcuni contesti e ricopre importanza elevata agli occhi dei genitori. Tuttavia è importante dire che i dati rilevati non sono pagelle, ma una fotografia della realtà italiana.

Dopo aver presentato i dati, ha preso la parola il dott. Marco Moschini che li ha letti parlando dell’importanza degli oratori nella nostra società. I tempi che noi viviamo sono quelli più fecondi per l’oratorio. “Vado in chiesa!” – ha detto il dott. Moschini – specificando che per lui, quando era piccolo, significava andare a giocare a pallone con il parroco e gli educatori. Forse non c’era oratorio, ma c’era il cuore dell’oratorio. C’era passione educativa.
Oggi, ha insistito, l’oratorio è importantissimo. La parola chiave è esserci, ed esserci significa farlo con la fedeltà di colui che c’è e ci vuole essere. Con la nostra forza che è prossimità.
Emerge la funzione strategica dell’oratorio: è strumento unico e speciale soprattutto perché non ha un modello, ma si modula sulle esigenze delle persone, sui ragazzi. È un modello nella sua informalità.
L’oratorio non è un problema, è la risposta: fare esperienza insieme. L’oratorio è anche questo e coinvolge tutti. Non c’è gara, ma ci deve essere la cura: ecco perché l’oratorio può educare la comunità alle alleanze educative. Dopo queste relazioni, don Michele ci ha presentato le tappe che ci porteranno verso il Sinodo dei giovani indetto dal Papa per il 2018. Ci ha esortati ad essere pronti e vigilanti, perché questo convegno ci vedrà protagonisti.

Fu sera e fu mattina. Terzo giorno.

Diario di bordo: Giovedì, 23 febbraio

I lavori del convegno sono ormai terminati e don Michele ha tirato le conclusioni del convegno poco prima della Santa Messa nel santuario della Madonna di San Luca. Ci ha presentato la buona riuscita dei lavori e ricordato le sfide educative che ci aspettano. Siamo andati in pellegrinaggio a piedi al santuario, per mettere noi e la nostra missione educativa sotto la protezione della Vergine Maria, Madre del Signore Gesù e primo modello educativo.

Offrendo ogni nostro dubbio, preoccupazione e difficoltà durante la celebrazione Eucaristica e ricevendo la benedizione dal Signore per mezzo dell’arcivescovo di Bologna, mons. Zuppi, siamo tornati nelle nostre case riconoscenti al Signore per questi giorni di grazia.

Martino