Le testimonianze al Meeting dei Giovani: «L’incontro con Dio è una festa continua»

Dopo la riflessione sugli aspetti esistenziali e quelli teologici, c’è stato il giorno delle testimonianze al Meeting dei Giovani.

Nel dì di festa, prima di sperimentare in concreto il senso di gioia, di comunione e di lode celebrando insieme l’Eucaristia domenicale, la terza giornata del raduno giovanile di Leonessa vede quattro giovani condividere l’esperienza di fede di chi ha avuto con Dio un incontro forte. Esperienze particolari come la vita comune basata sulla “fraternità come legge”, etimologia di Nomadelfia, il nome della Comunità fondata da don Zeno Saltini, cui appartengono Susanna e Raffaele.

O come quella del Movimento dei Focolari, che ha il suo punto nevralgico nella Cittadella di Loppiano, in cui alcuni membri vivono in modo stabile in una particolare forma di vita comunitaria, ma che ispira tutto il grande monto di chi vive il carisma di Chiara Lubich, come Claudio e Sabrina.

Tutti e quattro, sul palchetto allestito nel palasport leonessano, raccontano le proprie “vocazioni” e testimoniano la bellezza di vivere il tempo come “dono”.

Una bellezza che consiste nel credere, secondo il sogno di Chiara Lubich, alla possibilità che ciascuno possa fare «la propria parte per il mondo unito nel proprio attimo presente: vivere il proprio attimo presente, amando lì dove si è, nelle piccole cose, che è quello che rivoluziona la propria vita», dice Sabrina, che ha conosciuto il carisma focolarino da ragazzina in parrocchia e vi è rimasta legata fino a oggi, convinta che quel che scriveva la fondatrice e da adolescente l’aveva profondamente colpita, che si può «vivere l’amore di Dio anche andando a ballare in discoteca», è quanto mai valido: «la possibilità di vivere l’amore di Dio in maniera rivoluzionaria: donarsi all’altro», sempre e dovunque.

Lei lo ha vissuto in particolare con l’esperienza dei campus estivi per la legalità, occasioni, racconta «in cui sperimentare la legalità e formarsi alla legalità, nati a Siracusa, allo scopo di operare nelle periferie, per spendersi lì dove vivono realtà parallele ma che costituiscono il vero polmone delle città». E riferisce dell’esperienza del suo primo campo vissuto al Corviale, il famigerato quartiere periferico romano, in cui ha avuto modo di fare “esercizio” di condivisione piena dei problemi di un territorio: «in quella settimana un esercizio, ti cambia il modo di vedere il mondo, l’altro diventa qualcuno con cui camminare insieme. Una rivoluzione che parte da dentro te».

O della bellezza di partecipare in Giordania a un incontro dei giovani focolarini del Medio Oriente che sono riusciti a ritrovarsi insieme solo dopo 12 anni, «un’esperienza incredibile per loro e per noi».

Una gioia di incontrare l’altro e vedere in esso il volto di Dio che ha sperimentato anche Claudio, che viene da Poggio Mirteto. Nella parrocchia della Cattedrale della suburbicaria diocesi sabina il Movimento dei Focolari ha una presenza consolidata, e quando lui l’ha incrociata è passato da una fede vissuta in modo quasi obbligato, per tradizione, a una fede assaporata fino in fondo: descrive l’incontro col movimento «come un bellissimo film che prima era in bianco e nero e poi a colori».

Per lui vivere il carisma focolarino significa davvero «vivere una domenica continua». Comiciando dal lavoro che svolge, con i richiedenti asilo e i rifugiati in un progetto Sprar: «meraviglioso essere pagato per vivere il Vangelo».

Ancora più particolare l’esperienza di vita di Susanna e Raffaele, sposi da più di cinque anni, entrambi membri della Comunità di Nomadelfia in cui condividono quella chiamata di «essere famiglia aperta ad altre famiglie». Chi ha visitato la “cittadella” fondata da don Zeno ubicata in Toscana, o ne ha almeno sentito parlare, sa che è come un paese in cui gruppi familiari vivono insieme e, assieme a figli propri, accolgono – sulla scia delle “mamme di vocazione” che don Saltini creò per crescere bambini orfani e soli, minori che vengono affidati dai Tribunali. I due giovani coniugi raccontano della loro esperienza comunitaria in cui il lavoro è svolto a favore di tutta la comunità, concepito «come atto d’amore», il denaro è gestito in una cassa comune, si vive la democrazia diretta, la condivisione totale delle scelte e delle situazioni, l’affrontare ogni criticità secondo l’evangelica correzione fraterna.

Un’esperienza che non resta chiusa solo all’interno della comunità ma che si trasforma in evangelizzazione attraverso le “serate di Nomadelfia” che durante l’estate offrono alla Comunità la possibilità di testimoniare, in giro per le varie parti d’Italia, la gioia e la bellezza del credere alla legge dell’amore: con danze e canti che i bambini e giovani nomadelfi propongono in queste bellissime serate di spettacolo, si porta testimonianza della gioia vissuta, per «far vedere che si può cambiare, si può vivere il Vangelo, se lo possiamo fare noi siamo convinti che lo possano fare tutti.»

Cos’è la festa per chi vive l’esperienza di Nomadelfia? «È per noi il momento in cui scaliamo la marcia, rallentiamo un po’ il tempo: negli altri giorni si corre, la domenica si rallenta, non si lavora se non le attività indispensabili come la cura degli animali (ma a turno); il giorno in cui dedichiamo più tempo a rimanere più a lungo a tavola, non essendoci le attività lavorative incalzanti del pomeriggio; il tempo festivo è poi il tempo delle relazioni: certo, facciamo vita comune sempre, tutti i giorni, ma la domenica ci si ferma con calma nel fare mente locale riguardo la vita di relazione. La domenica ci sono poi sempre gruppi che vengono a visitarci, e persone della Comunità che nel frattempo sono uscite, hanno fatto altre scelte (come fanno alcuni figli che, cresciuti, decidono di non restare a vivere con noi) che tornano in famiglia alla domenica». Al culmine, ovviamente, c’è la Messa domenicale «con la chiesa piena dei membri di tutte le età… Il fatto di conoscerci ci fa vivere questa dimensione di festa, anche con gli ospiti che all’inizio della celebrazione si presentano». E poi celebrazioni particolari (come l’avvio anno scolastico o la festa del raccolto), liturgie mensili nei gruppi familiari, e anche i funerali vengono vissuti come una festa (alla fine del rito funebre, riferiscono, si usa sempre fare una danza attorno alla bara).

Diverso è invece per chi non fa normalmente vita comune ma vive la propria esperienza spirituale in tanti posti diversi, ciascuno nel luogo in cui si trova. Della festa vissuta nello spirito focolarino parla Claudio: «difficile che la comunione della domenica si traduca in un momento in cui stiamo tutti a Messa insieme, magari ognuno starà nella propria parrocchia. La cosa più bella è che io andando a Messa sono vicino a tutti quei giovani del movimento sparsi nel mondo. Per me la festa vera è quello stare insieme in Dio, anche se fisicamente non si sta insieme». Insomma, la festa come capacità di vivere l’incontro con l’altro, vicino o lontano che sia.