Zygmunt Bauman, classe 1925, sociologo e filosofo polacco di origine ebraiche. Ci ha da poco lasciati, non senza regalarci in vita alcuni dei pensieri più profondi del novecento e del nuovo secolo.
Nel primo giorno del Meeting dei Giovani abbiamo proiettato il film del regista Erik Gandini “La teoria svedese dell’amore” che ci ha raccontato quanto in una società, quella svedese, la propensione esponenziale verso l’indipendenza e la visione della felicità come mancanza dei problemi crei degli esseri umani anaffettivi.
Bauman chiudeva quel film con queste parole:
“Felicità non significa una vita priva di problemi. Una vita felice si ottiene superando le difficoltà, fronteggiando i problemi, risolvendoli, accettando la sfida. Accetti la sfida, fai del tuo meglio e ti impegni a superarla. E poi sperimenti la felicità nel momento in cui capisci di aver tenuto testa alle difficoltà ed al destino.
Più sei indipendente, meno sei in grado di controllare la tua indipendenza, per rimpiazzarla con una piacevole interdipendenza.”
Nel suo libro Cose che abbiamo in comune, Bauman torna su alcuni degli argomenti che più lo hanno affascinato e che sono stati il fulcro del nostro Meeting: le relazioni, i sentimenti e l’Amore.
“Il bisogno di amare ed essere amati è una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L’amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame. Di fronte a diverse possibilità sta a noi scegliere. Nessuno è “condannato”. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio.
L’amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l’uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno. L’amore ripaga quest’attenzione meravigliosamente. Per quanto mi riguarda (e spero sia stato così anche per mia moglie Janina) posso dire: come il vino, il sapore del nostro amore è migliorato negli anni.
È la prospettiva dell’invecchiare ad essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l’assenza di “novità”. Quella “novità” che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall’infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti “usa e getta”, da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso.
Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l’opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L’amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l’amore.
Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l’illusione di avere tante “seconde scelte”, che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Come se la “quantità” ci rendesse immuni dell’esclusività dolorosa dei rapporti. Muoversi da un luogo all’altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere. “L’amore esclusivo” non è quasi mai esente da dolori e problemi, ma la gioia è nello sforzo comune per superarli.
È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della “tentazione della tentazione”. È lo stato dell’essere tentati ciò che in realtà desideriamo, non l’oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un’apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è un’imboscata nella quale tendiamo a cadere gioiosamente e volontariamente.
La nostra dedizione alla gratificazione istantanea e senza legami è il prodotto del mercato, che ha saputo capitalizzare la nostra attitudine a vivere il presente. I legami umani sono stati sostituiti dalle “connessioni”. Mentre i legami richiedono impegno, “connettere” e “disconnettere” è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza.
Io e mia moglie, per esempio, fin dall’inizio abbiamo deciso che lo stare insieme, anche se difficile, è incomparabilmente meglio della sua alternativa. Una volta presa questa decisione, si guarda anche alla più terribile crisi coniugale come a una sfida da affrontare. L’esatto contrario della dichiarazione meno rischiosa: “Viviamo insieme e vediamo come va…”. In questo caso, anche un’incomprensione prende la dimensione di una catastrofe seguita dalla tentazione di porre termine alla storia, abbandonare l’oggetto difettoso, cercare soddisfazione da un’altra parte.
Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana.”
Grazie infinite, grande maestro.