“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” (Gv. 6, 9)
Come i discepoli, ma in maniera molto più terra terra, anche noi ci siamo chiesti che cosa potessimo dare a quei 90 bambini e ragazzi che di lì a poco avrebbero varcato i cancelli del nostro oratorio, nella Parrocchia di San Biagio, a Castel Sant’Angelo. Come riuscire a prendercene cura per quattro settimane, dal 1 al 29 Luglio? Ma ancora di più, perché noi abbiamo scelto di essere al CRE? Cosa abbiamo scelto di essere?
Questo il dubbio che da allora, come un tarlo, ci ha accompagnati in ogni lavoretto con la lana, in ogni tuffo in piscina, in ogni escursione tra le ricchezze della nostra comunità. Addirittura fino in Puglia siamo andati a cercare la risposta, chissà, magari nascosta tra i suggestivi Trulli.
Non prendeteci per pazzi, ma è proprio così. Che senso ha, infatti, saltare dai banchi di scuola, con una sudatissima promozione o con un diploma faticosamente conquistato, al cortile polveroso dell’oratorio, reso ancora più simile ad un campo di battaglia dalla canicola di luglio? Che sapore ha un’estate miracolosamente indenne dagli esami dell’odiatissima “Sessione Estiva”, chiamata però a fronteggiare i mille esami che ti pongono i ragazzi, al cui confronto il tuo prof è Mary Poppins? Per quale motivo spendere le uniche due settimane di ferie a organizzare una gita dall’altra parte d’Italia che già sai ti toglierà ore di sonno? A che pro rinunciare a stare a casa con il marito o la moglie a godersi la tranquillità senza i propri di figli per correre dietro a quelli degli altri? Per chi riorganizzare la propria giornata di preghiera e cura pastorale, quando per stare appresso a tutti ci vorrebbe il doppio del tempo, e soprattutto della misericordia?
Tante domande, e se sperate di trovare da noi una risposta, beh forse l’avete chiesto alle persone sbagliate. Sì, perché noi non siamo gli animatori perfetti, del centro estivo perfetto con le risposte perfette. Saremmo stati pronti a rispondere alle più puntigliose delucidazioni su lavoretti da fare, balletti da preparare, giochi da imbastire, a smarcarci con le più mirabolanti tattiche di gioco nello spiegare perché quell’uscita, nel rispetto di quella normativa. Insomma vi avremmo risposto a tutto, vi avremmo dato pure la luna, ma voi proprio questo ci dovevate chiedere?
Ma ecco la luce fuori dal tunnel, la folgorazione sulla via di Damasco, la frase a effetto che ti salva la faccia: “Perché porti frutto, per tutti, nonostante tutto”.
Perfetto, ci sembra che tutto torni: il don se glielo diciamo è contento e non rompe, le suore magari per complimentarsi ci offrono pure la merenda, i genitori si sentono la coscienza a posto perché hanno affidato i loro figli a gente che almeno due parole in croce riesce a metterle. E se poi lo viene a sapere pure il Vescovo, beh facciamo proprio il botto; magari ci abbona pure quella presa a male assurda dei “corsi pre-matrimoniali” (non si sa mai, può sempre tornare utili).
Eppure questo “Perché sei qui al CRE?” continua a ronzarci in testa; proviamo un senso di contentezza a metà: i ragazzi si divertono in piscina e con il ballo, e ai più grandi basta dare un pallone e ci siamo tolti il problema- tanto quest’anno è fino alle 13! Tutto torna perfettamente, come in un esperimento in laboratorio.
Ma allora perché non riusciamo a goderci questa calma piatta? Perché sentiamo questo senso di vuoto, di Bellezza mutilata? Veramente il mio tempo va solo dalle 8 alle 13? Veramente i ragazzi valgono soltanto un misero campetto da calcio e 4 giorni in piscina? Veramente noi ci sentiamo pieni, ci sentiamo noi stessi facendo baby sitter scadenti e privi di empatia?
Non sarà forse che il famoso frutto che questo CRE deve portare per i ragazzi, tra le lodi e i complimenti del don e di tutta la pipinara, lo stiamo sperimentando invece su noi stessi? Che sia in noi che quel seme cerca di farsi spazio tra mille difetti e paure?
Come potete capire, le idee sono un po’ confuse, ma una cosa è certa, questo CRE non è perfetto, e ringraziamo Dio che non lo sia.
Se fosse perfetto, sarebbe ideale, avrebbe cioè a che fare con idee, esperimenti, cavie, risultati, non con esseri umani.
Ma noi questo siamo, esseri umani, che tutti i giorni devono fare i conti con piccole e grandi croci: l’esperienza del fallimento, il senso di vuoto, la sofferenza di non sentirsi amati e presi in considerazione da chi dice di farlo, o più semplicemente idee e curiosità che non siamo in grado di canalizzare.
Ecco questo è per noi metterci all’Opera, imparare piano piano a stare sulla croce. Quante croci anche i nostri ragazzi vivono oggi, spesso nell’indifferenza di un tram tram quotidiano che poco lascia all’ascolto!
E noi in tutto questo? Che spazio occupiamo? Che stile scegliamo di fare nostro? Facciamo finta di niente, lasciando che il loro mondo inizi e finisca in un pallone, o che facciano quello che vogliono, perché sappiamo che in uno scontro diretto saremmo noi ad avere la peggio?
Eppure se c’è una cosa che abbiamo capito, e cara ci è costata!, è che il seme per portare frutto deve trovare un terreno ferito dalla zappa del contadino che lo accolga e piano piano ricucire quella ferita; per questo, in barba agli organigrammi perfetti, all’empatia, alla fantasia e a tutte le altre possibili doti dell’animatore ideale che potete trovare con le lettere dell’alfabeto, abbiamo scelto che quelle ferite venissero allo scoperto, dar loro un nome, le nostre come quelle dei bambini e dei ragazzi, e prendercene cura. Non accontentarci di soluzioni più comode, meno compromettenti, non sentirci sazi di un pallone, di una gita tra i Trulli, né di un genitore in meno che viene a rimproverarti per aver ripreso il figlio.
Come i discepoli, eravamo presi dall’ansia educativa di dare più cibo ai nostri ragazzi, salvo poi scoprire che è una questione di qualità e non di quantità Noi, e i nostri ragazzi, valiamo molto di più di tutto questo; usciti dal cortile dell’oratorio ne possiamo trovare mille di campetti più all’avanguardia, mete più accattivanti, persone meno irruente; sono tutti strumenti, ma il cibo è Altro. Abbiamo poche risorse, che comunque dobbiamo usare bene, come ci ha bonariamente redarguito don Domenico durante lo spettacolo finale, e siamo numericamente pochi; noi siamo quei cinque pani e due pesci che però possono saziare se fanno crescere e testimoniano Cristo, e a Lui si affidano e su di Lui poggiano questo cammino di Fede comune che è il CRE.
Per questo è qui che noi abbiamo scelto di stare, è qui che noi abbiamo scelto di guardare in su, oltre i nostri limiti e le nostre cadute, per riscoprire la Bellezza che siamo; è qui che noi abbiamo scoperto di valere Cristo; è qui che noi abbiamo scelto di portare frutto, perché è qui che abbiamo riassaporato il sorriso di Dio che crea il mondo.
“E guardatolo, lo amò” (Mc. 10, 21): soltanto dopo esserci sentiti racchiusi, ognuno singolarmente, in questo stesso sguardo d’Amore, abbiamo capito cosa significa veramente mettersi all’Opera secondo il Suo disegno; soltanto riscoprendoci creatura amata e voluta dal Creatore abbiamo scelto di essere la terra buona, perché porti frutto, per tutti, nonostante tutto.
Questo non significa che è giunto per noi il tempo del raccolto, né che un’improvvisa gelata non possa indebolire la piantina, ma forse oggi, grazie anche a questi 90 ragazzi, abbiamo capito che esiste un’altra via, e che anche a noi è chiesto di portare frutto.
Giovani Parrocchia San Biagio