Da poco nominato alla guida della Pastorale Giovanile, Emanuele Sciortino fa il punto sull’impegno preso e guarda alle prime attività: un ciclo di incontri del vescovo Vito con i giovani dai 18 anni in su
Un cammino che prosegue. È l’immagine che viene in mente parlando con Emanuele Sciortino, che da qualche settimana il vescovo Vito ha chiamato alla guida della Pastorale Giovanile, mettendogli al fianco don Vincenzo Ianniciello e suor Patrizia Cimmino. Il compito è impegnativo, anche perché mons. Piccinonna ha più volte indicato le nuove generazioni tra le priorità della pastorale e il peso dell’incarico si sente. Ma la scelta sembra essere caduta su una persona che non si fa prendere dalla fretta o dall’ansia. 36 anni, sposato con Laura Ranalli, siciliano di Castel di Lucio (Messina), Sciortino vive da più di un decennio nel reatino. Lavora nel campo dell’educazione, è un innamorato del francescanesimo e della Valle Santa e ha intrapreso il percorso per l’oblazione presso la fraternità monastica della Trasfigurazione. Impegnato anche nell’animazione liturgica, ha sempre seguito con partecipazione le proposte che la diocesi ha rivolto ai giovani.
«Ovviamente il ruolo chiama a una certa responsabilità – ammette Emanuele – ma è un incarico di servizio e il servizio è la prospettiva in cui mi voglio mantenere. Oggi c’è grande attenzione al mondo dei giovani ed è anche bello poter essere in prima linea e ritrovarsi a progettare, a programmare azioni pastorali per poterli avvicinare sempre di più. Sono grato di poter prendere in consegna quanto è stato fatto fino adesso dal Servizio di Pastorale Giovanile da don Luca Scolari e dalla sua équipe. Ringrazio tutti in una volta per paura di dimenticare qualcuno, e sono sicuro di poter fare ancora molta strada insieme».
Continuità e novità
L’idea sembra quella di coniugare continuità e novità: nessuno stravolgimento, ma un’attenzione a restare nel solco tracciato dal vescovo con gli occhi e gli orecchi attenti al mondo che cambia. «Ciò che desidero e stare a fianco dei giovani e quindi proporre iniziative, momenti di incontro, occasioni di ascolto». E per imparare facendo s’inizia subito con un ciclo di appuntamenti rivolti ai ragazzi dai 18 anni in su. Sarà una serie di incontri con il vescovo per vivere momenti di fraternità e attenzione alla Parola: «È dalla Parola che si muoveranno tutte le nostre azioni. Partiremo dai ragazzi che fanno l’esperienza del post Cresima, ma ovviamente vogliamo arrivare anche ai giovani e ai giovanissimi». Il tema di fondo lo spiega bene la frase che don Vito ha consegnato per il materiale informativo su questo ciclo di appuntamenti: «Anche nel nostro tempo, Dio ha una Parola forte e tenace che ci apre vie nuove e inedite. La Chiesa non ha altro bene e altra gioia da condividere».
Strategie di contatto
Si avverte forte un desiderio di fraternità, il bisogno di stare a fianco e accompagnare, il desiderio di scoprire insieme qualcosa di prezioso. Le strategie per arrivare a un contatto possono essere le più diverse ed Emanuele lo sa bene. La sua esperienza ecclesiale, ad esempio, è nata da adolescente in Sicilia, imbracciando la chitarra e suonando le percussioni. Complice l’intuizione di un sacerdote, che invitò la sua compagnia di giovani ad animare le celebrazioni. «La musica è un ottimo strumento per poter coinvolgere i ragazzi e avvicinarli. Ed è anche un aiuto a comprendere le diverse dimensioni della vita: un conto è suonare per una esibizione, altra cosa concepire la musica come servizio».
Tempi e spazi
Un esempio tra i tanti, per dire che le strade dell’incontro possono essere le più diverse. In un certo senso debbono esserle, perché diverse sono non solo le persone, ma anche le zone. La diocesi di Rieti è infatti articolata su territori caratterizzati da situazioni diverse quanto a risorse, demografia, densità di popolazione. La presenza dei giovani è diversificata e discontinua. Ogni zona ha i suoi punti di forza e le sue criticità. C’è la città, ma ci sono anche le zone montane. «Su queste diversità, la Pastorale Giovanile nel recente passato ha lavorato molto ed è una esperienza che vogliamo approfondire», sottolinea Emanuele. «Pensiamo di incontrare i ragazzi e le ragazze dove sono, portandoci vicino a loro. Bisogna muoversi e mettere in movimento, promuovere la conoscenza reciproca, trovare ulteriori modi per poter abbracciare le diverse situazioni. E magari individuare nuovi luoghi d’incontro per rimettere in circolazione le varie esperienze che sono state vissute e che continuano a vivere. La diversità dell’esperienza è un arricchimento della dimensione diocesana che deve assolutissimamente emergere. E dove si incontrano criticità occorre riconoscerle per poterle superare. La dimensione dell’incontro va garantita e su questo, insieme a don Vincenzo e a suor Patrizia, vogliamo impegnarci molto».
Prima le persone
Quello degli spazi, precisa però Emanuele, è un problema che viene dopo. Prima vengono le relazioni. E anche dalla sua esperienza scolastica il responsabile della Pastorale Giovanile sa bene che molte di esse si consumano nell’ambiente digitale, tenendo un piede dentro e un piede fuori dalla rete. «Anche questo è un aspetto che negli ultimi anni non è stato sottovalutato», dice Sciortino. «Ciò che occorre è un accompagnamento. I social sono una faccenda molto importante e delicata. Con un clic ci permettono di raggiungere l’altra parte del mondo. Accorciano le distanze fisiche, ma allo stesso tempo mettono un filtro, allontanano. E a volte il loro uso può degenerare. È un mondo che bisogna saper abitare e la Chiesa non può trascurarlo. Mi viene in mente quel bel passo del Vangelo di Marco: “Lasciarono le reti e lo seguirono”. Ecco, il digitale aiuta ad abbattere tante barriere, anche emotive. Ma non bisogna lasciarsi irretire, rinunciando a incontrarsi faccia a faccia. Bisogna saper lasciare anche le reti informatiche».
Sempre prima il “noi”
Un discorso complesso oggi, anche perché viviamo uno strano rovesciamento generazionale. Fino a ieri erano gli adulti ad insegnare ai giovani come stare al mondo; negli ambienti digitali accade il contrario e non sempre le persone mature riescono a tenere il passo. Ma a pensarci anche questo potrebbe ricadere nell’orizzonte sinodale. Potrebbe insegnare ad ascoltare e dar retta a voci che arrivano da dove non ci si aspetterebbe. A riconoscere nei ragazzi e nelle ragazze soggetti attivi nella vita della comunità, da guidare, ma senza rinunciare alle loro antenne sintonizzate sul futuro.
«Ciò a cui dobbiamo puntare è alla dimensione del “noi”», osserva Sciortino. «Oggi si è conclusa una parte del Sinodo e almeno una cosa l’abbiamo imparata: essere Chiesa significa camminare insieme. Ringrazio il vescovo per la fiducia perché mi dà l’occasione di mettere a servizio degli altri quello che ho potuto vivere in questi anni della mia vita. Credo nelle relazioni: sono fondamentali per andare a smuovere l’entroterra che abita in ciascuno di noi. Incontrarsi è scoprire quello che siamo, senza strutture e sovrastrutture. Vissuto in maniera autentica, l’incontro è disarmante, ci fa mettere, toglie i pregiudizi. Ci fa scoprire ciò che ci accomuna». E non è un semplice atto di fede, ma qualcosa che riguarda il ruolo del cristiano nella società.