Ripresi dalle abbuffate natalizie e dai “anche a te e famiglia” come se non ci fosse un domani?
Perché il #Natale non è questo, o meglio non è fondamentalmente questo.
Dietro ai luccichii abbaglianti delle luminarie #madeinchina, del “a Natale siamo tutti più buoni, ma se mi rubi il tombolino per me sei morto”, c’è altro, c’è Qualcun altro.
Spesso, infatti, noi ci fermiamo di fronte al fascino di un bambinello e i suoi genitori, senza però ricordarci che lì dentro si cela un mistero enorme: Dio fattosi uomo, l’Emmanuele.
A noi spesso questa parte, forse la più importante, non piace, un po’ come i maglioni della zia della cugina della commare di nonna Peppina che vengono a rovinare la “magia del Natale”; semplicemente fa fastidio, per questo la semplifichiamo, la mettiamo da parte.
Ma attenti, questa non vuole essere una tirata contro il consumismo e il “non esistono più i Natali di una volta”; siamo anche noi reduci dalla terza tavola imbandita, e anche nei nostri saloni scintillano gli alberi in plexiglass.
Ma se non riusciamo più a percepire il sapore di Natale di quando eravamo bambini è perché, forse, abbiamo smesso di guardare bene. Forse, a forza di tirare il presepe da una parte all’altra, abbiamo smesso di crederci abbastanza. A cosa? No, “a chi”, magari. A Dio che ha scelto di farsi uomo in un bambino, a Dio che, ancora oggi, non smette di nascere in mezzo a noi, alla nostra società in plexiglass e, forse, alla nostra Fede a intermittenza, proprio come le lucette dell’albero.
E non c’è certezza più bella di Dio che ha vinto le tenebre e torna a vincerle.
Come tornare, quindi, a riappropriarci di questo sguardo, di questa certezza?
Santo Stefano, primo martire, che come Chiesa festeggiamo subito dopo il 25 dicembre, un po’ appartato rispetto ai bagliori dei giorni passati, stiracchiato tra la frittura della vigilia, l’abbacchio del giorno e le lenticchie col cotechino di Capodanno, ci indica il modo, lo stile in cui vivere questa Verità. Dare il proprio sangue per Cristo significa mettere Cristo come meta, direzione e senso della nostra vita, e cercare di raggiungerlo, nonostante questo sia di inciampo, di scherno. Significa dire, con Santo Stefano, “Signore Gesù, accogli il mio spirito”.
Come #Giovani, come #Cattolici, come parte di questa comunità che vuole tornare ad essere importante , auguriamo a noi stessi, e a ciascuno di ritrovare lo sguardo di quel bambinello e in quegli occhi (ri)scoprire l’oceano d’Amore che vi si cela, (ri)scoprire Dio. Ci/vi auguriamo di (ri)trovare Dio in fondo alle nostre/vostre sofferenze, ferite, solitudini, ma anche in fondo alle nostre/vostre gioie.
Ci/vi auguriamo di avere il coraggio di scegliere Cristo; allora veramente, e finalmente, il Natale tornerà ad avere il sapore di quando eravamo piccoli, perché quando eravamo piccoli percepivamo che Natale è Cristo.
Per questo, come ci incoraggia il Santo Padre Benedetto XVI, Papa emerito “Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prendere per mano dal Bambino di Betlemme. Non temere, fidati di Lui!”. (Benedizione Urbi et Orbi, Piazza San Pietro, 25 dicembre 2008).
Buon Natale in Cristo, ragazzi.
Giovani Rieti